I post su Un'Eterna Treblinka

 



Lungo tutto l'arco del 2018, avevi scritto una serie di post per 'rileggere' questo testo seminale, un pilastro dei movimenti animalisti-antispecisti.

Un'Eterna Treblinka è stato per te l'ingresso - infatti - nel mondo complesso delle persone che hanno cominciato a guardare agli altri animali in un modo mai davvero concepito o praticato fino a quel momento.

La giornata della Memoria è appena trascorsa e ti è venuta l'idea di 'fissarla' sul blog remoto proponendo i post tutti insieme, vicini vicini, per leggersi tutti insieme, se si è abbastanza entusiasti da volerlo fare.

Quindi, eccoli qui, tutti i post sul libro di Charles Patterson che -per primo - ha stabilito il parallelismo concettuale tra Olocausto e ecatombe animale (ecatombe:ecatómbe s. f. [dal gr. ἑκατόμβη, comp. di ἑκατόν «cento» e βος «bove»]. – 1. Sacrificio di più vittime (anche non bovine) presso gli antichi Greci.


Ci tieni a dire che nei post originali hai scritto anche delle considerazioni di cornice che non riporti qui ma che inviti volentieri a leggere, perché secondo te spiegano molte cose - o magari le riunirai tutte insieme in un post!




Cominci dalla introduzione, firmata da Massimo Filippi. 

Ci sono già importanti punti fermi, come il darwinismo, l'etologia, la paleoantropologia che - tutte insieme e con altre scienze - danno solida base alle critiche e agli avvertimenti contro la banalità del male di arendtiana definizione a cui "inevitabilmente conduce il dogma metafisico della separazione artificiale tra umani e non umani": proprio l'azione di critica e di elininazione di questo dogma scoprirai essere negli anni futuri al centro del pensiero nei libri di Filippi (sui quali ci saranno post apposta). Perché questo dogma, scrive Filippi per ora, "rende giustificabile non solo l'attuale misera condizione animale, ma anche l'altrettanto misera condizione umana".
La linea divisoria noi/loro è non solo artificiale, ma anche mobile e labile e ignobile: la sua oscillazione ha permesso il pensare e l'attuare cose come i lager e l'olocausto, perché ha reso possibile "per alcuni componenti della nostra specie di poter passare dall'uno all'altro dei due termini in gioco". Di diventare, cioè animale, condizione nella quale il gioco  imposto dal dominio assoluto della ragione strumentale diviene letale, perché semsei dalla parte animale della linea, perdi individualità, diritti, protezioni, garanzie, tutele, sacralità; smetti di essere consumatore, diventi merce (le uniche due categorie in cui il sistema capitalistico divide tutto ciò che esiste. Ovviamente, per gli animali non umani l'unica possibilità data è quella di essere merce, a qualunque livello.
Questa oscillazione letale, non può non generare l'insicurezza globale delle esistenze di chiunque viva sul pianeta, controllato dalle ragioni del profitto.

Anche l'archetipico Olocausto fu un risultato del profitto e - scrive Filippi - "non è stato un evento unico e quindi irripetibile". 
Se son vere le parole di Adorno, richiamate sia da Patterson che da Filippi, per le quali "Auschwitz inizia quando si guarda a un mattatoio e si pensa: sono soltanto animali",  allora la condizione animale, per Filippi, ci richiama a una forte presa di coscienza, in quanto prodromo per una "nuova Treblinka universale".

Filippi chiude in modo sensazionale, citando il biologo Lee Silver (Princeton), teorico della "riprogenetica" (cioè la fusione in prospettiva delle tecnologie riproduttive e della ingegneria e manipolazione genetica, che permetterà azioni eugenetiche addirittura a livello individuale). Silver prevede un futuro quando l'umanità si dividerà Gen Rich e in Natural - divisione che passerà necessariamente dalla sfera consumistica del reddito e del potere di acquisto e di spesa. I Gen Rich renderanno se stessi geneticamente migliorati, finché "con il trascorrere del tempo, la distanza genetica tra la classe Natural e la classe Gen Rich, potrebbe diventare sempre più grande", fino a bloccare ogni ascesa sociale per i Natural. Infine, fino a far scendere i Natural sotto la linea oscillante del 'noi/loro', con conseguenze ben più ampie di quelle meramente sociali o economiche. Saranno due specie separate, "con nessuna opportunità di incrocio e con una specie di 'curiosità' gli uni per gli altri, come adesso accade per gli uomini e gli scimpanzè".

Sei d'accordo con Filippi che questo non è uno scenario desiderabile. Facile prevedere che tipo di curiosità avranno i Gen per i Natural: quella che "si ferma a farli impazzire negli zoo, al ridicolizzarli nei circhi e al torturarli nei laboratori biomedici".
Vitale è al più presto contrapporre una nuova etica sistemica, una visione biocentrica invece che tecnocentrica strumentale, che lega insieme sfruttamento animale e sfruttamento umano.

"Questo l'animalismo che ci propone Charles Patterson": che ha basi politiche che lo rendono la più profonda e radicale critica del sistema. Per cambiare rotta: altrimenti il futuro che ci aspetta sarà quello di vivere prigionieri dentro "una eterna Treblinka".

Un libro politico, dunque, fortemente militante. Un libro a tesi e estremamente lineare: che, alla maniera anglosassone raccoglie e racconta un numero considerevole di documenti storici, di testimonianze, di racconti, di ricostruzioni, di dati e di collegamenti, di citazioni e rimandi a libri, interviste, racconti, testimonianze, articoli di giornale, documenti pubblici, corrispondenze. Un lavoro da storico, per un libro a tesi.

Ha successo, in questa operazione, Charles Patterson? La sua operazione è efficace? Riesce a convincere il lettore della sua tesi, che mette in parallelo e in diretta consequenzialità l'Olocausto ebraico perpetrato dai nazisti - conchiuso nel tempo storico - e l'immenso olocausto animale perpretrato ogni giorno e mai terminato? Cattura il lettore nella suggestione nella celebre frase di Isaac Bashevis Singer, vera e propria scintilla per l'intero libro? 


La prima parte ci racconta del fallimento fondamentale. Ci sommerge sotto una quantità paralizzante di dati e informazioni.
La forza fisica e materiale del dato reale, storico, statistico deve sotenersi da sola e autodimostrarsi, deve diventare capace di convincerci della realtà che non vediamo più: che l'uomo domina gli animali e che, tra gli uomini, alcuni, animalizzando gli altri umani, dominano anche gli umani più deboli o considerati pericolosi.

L'uomo fallisce, parafrasando Milan Kundera, perché, quando si rapporta con gli altri animali, che sono di fatto alla sua mercé, non coglie l'occasione per manifestare la vera bontà, che sarebbe l'astenersi dall'aggredire chi non può in alcun modo difendersi: al contrario, poiché gli animali non rappresentano contro l'umano alcuna forza, l'uomo si lascia andare a ogni genere immaginabile di violenza, sopruso, tormento, uccisione, persecuzione, stupro, sfruttamento, vilipendio, consumo, annientamento. Sa che può farlo, dunque lo fa, non si rende conto che in questo modo distrugge ogni riconoscibilità tra equo, etico, contrapposti a iniquo, immorale. Nei confronti degli animali, l'uomo ha dichiarato guerra, e come nemico si comporta. 
Megalomane (secondo Michel Montaigne, per come lo cita Patterson) e arrogante (Freud), l'uomo fa di sé sovrano del mondo,  pur essendo il più "pernicioso e fragile". A te sembra che questa critica rimanga comunque antropocentrata, soffra di eccezionalismo prometeico (ed è forse un punto debole del libro). Negli anni a venire, hai potuto leggere altri testi (Roberto Marchesini, Benedetta Piazzesi), che focalizzano altri punti di vista e trovano altre risposte, di fatto smontando e rendendo obsoleta questa tesi pattersoniana.

I punti di forza, come dicevi, sono nella incredibile massa di dati, una elencazione di casi accomunati dall'essere esercizio di dominio, di crudeltà (per esempio, nelle pratiche di domesticazione e quindi di allevamento degli animali, parallela alla nascita della domesticazione delle piante, cioè la nascita della agricoltura e la nascita degli allevamenti).  Da pag 7 a pag 11, l'elenco di pratiche crudeli è soffocante, sembra non finire mai, la prassi millenaria delle pratiche di contenzione, separazione, sfruttamenti e reificazione, è una costante. Patterson non lo scrive, ma lo hai scoperto nelle letture degli anni successivi: ogni pratica di domesticazione nasce per rispondere innanzitutto a una pratica di fuga e resisenza da parte degli animali, che lottano e hanno lottato fin dal primo istante per non perdere la libertà della loro vita. 
L'uomo si distacca, si considera superiore, differente. Patterson cita Jim Mason, secondo cui l'allevamento intensivo degli animali ha stabilito i fondamenti della nostra società, basata su crudeltà come pratica e su distacco come atteggiamento: noi accettiamo e interiorizziamo un elevato grado di violenza e brutalità, sulle quali si regge tutta la nostra civiltà, da 10.000 anni a questa parte.

La istituzionalizzazione dello sfruttamento degli animali resi schiavi, apre, secondo Patterson, la strada alla schiavitù di altri umani. E si prosegue per giustapposizione, per accumulo: tutte le oppressioni trovano vicinanza, sotto l'ombrello della oppressione animale. Anche la oppressione della donna, la cui sottomissione sessuale si ha sul modello della domesticazione, allevamento e manipolazione sessuale e sessuata degli animali 'da' consumo.
La gerarchia patriarcale è solida: in cima, il maschio libero e proprietario, sotto di lui, come oggetti: la moglie, le donne, poi gli schiavi, gli animali (e queste ultime categorie condividono molte pratiche di dominazione, sia fisica che psicologica). Religione (Patterson cita per esempio Tommaso d'Aquino) e filosofia (Descartes), offrono ogni tipo di giustificazione a qualsiasi pratica di dominio. In un cortocircuito inestricabile, che spetterà al pensiero antispcista affrontare, per smontarlo e sostituirlo.
 "A noi non piace considerare nostri eguali gli animali che abbiamo reso schiavi", scrisse Charles Darwin.

La grande barriera che ci separa dagli animali, non è invalicabile. Per Patterson, nei millenni, gli umani hanno spesso e volentieri gettato, per così dire, al di là del muro, molti altri popoli o categorie (arbitrarie: poveri, donne, individui di aspetto 'razziale' differente, di altra lingua, fisicamente fragili, ritenuti menomati e non autosufficienti, quindi scarti), per meglio poterne fare dei nemici da abbattere, animalizzati e dunque pericolosi, ma allo stesso tempo indegni di ogni considerazione umana. E via, così, la giostra vertiginosa del secondo capitolo di questa prima parte, con molteplici esempi presi dalla storia: tutti contro tutti, magari scambiandosi i ruoli nei decenni o nei secoli della storia, sotto la quale scorre, come comune denominatore di ogni violenza, la volontà di conquista; un'orgia di animalizzazioni in un crescendo cruento di violenza e crudeltà. Fino al capolinea dell'olocausto degli ebrei, organizzato dal regime nazista negli anni '40 del secolo 1900.
Quando Gitta Sereny intervistò Franz Stangl, questi le spiegò: 
"(le umiliazioni, la crudeltà), servivano per condizionare le persone che dovevano materialmente mettere in atto la nostra politica".

E qui finisce la prima parte del tomo pattersoniano. 


Seconda parte - il terzo capitolo

"Specie padrona", "Razza padrona": un crocevia di termini problematici quanto altri mai - e incandescenti, da maneggiare con estrema cautela, intrisi come sono di specismo e sempre a rischio di incorrere nel doppio standard.  
Patterson, tuttavia, li prende per esaltare al massimo la loro caratteristica di contenitore, di aggregatore  - che allo stesso tempo divide e separa. Specie: qualsiasi animale che non sia umano. Razza: razza bianca, razza nera, 'razza' ebrea - concetti in voga nel regime nazista più che in altri mai. Il nazismo, ha elevato a sistema il totalitarismo dominante della bio-politica, ha isolato i corpi, per poterli smontare, esaminare, rielaborare e ricomporre, con destinazioni, usi, scopi e persino durate differenti. Attraverso l'impiego del mattatoio, della catena di montaggio, del laboratorio, della corsia di ospedale.

Tuttavia, dice Patterson, nei suoi scritti: il nazismo non sgorga da solo dal terreno, non è un che di isolato, di inedito, di eccezionale (nel senso di unico, eccedente, inatteso).
Nella seconda parte del suo libro, infatti, si impegna - sempre con lo stile militante che rovescia davanti agli occhi attenti di chi legge una quantità quasi ingestibile di nozioni, rimandi, dati, aneddoti, documentazioni, bibliografie, testimonianze - a raccontare come evidente sia il rapporto che intercorre tra la violenza istituzionalizzata contro gli animali e un analogo tipo di violenza esercitata contro (altri) esseri umani.  Con due casi: gli USA a cavallo tra XIX e XX secolo, dove e quando nacque l'eugenetica; dove si realizzò il lavoro scorporato; e la Germania nazista, dove si pose in essere il primo esperimento progetto concreto di trasformazione della popolazione, a tutti i livelli possibili - compreso il genocidio (un altro termine che prima del nazismo non esisteva).

Stati Uniti: le radici dell'Olocausto affondano profonde proprio qui, nello sterminio sistematico delle popolazioni native americane, allo scopo di impossessarsi delle terre dove vivevano. Lo storico David Stannard, Elie Wiesel, attivo contro i criminali di guerra nazisti, il filosofo Theodor Adorno, così come riportati nel libro, puntano tutti i loro sguardi sulla strada che collega mattatoio e lager.
Questa strada - la 'bovinizzazione dell'America' , come la chiama Rifkin - iniziò addirittura a partire dal secondo viaggio di Cristoforo Colombo.
I coloni europei portarono nel Nuovo Mondo le loro pratiche di sfruttamento degli animali, i macelli inglesi e olandesi erano considerati "la meraviglia d'Europa". 
Attraverso varie tappe, nel corso di circa tre secoli, si arriva alla celeberrima - o famigerata - Union Stockyard di Chicago, che univa le tecnologie del trasporto ferroviario a quelle della macellazione. Era una vera e propria città-macello (1865).
Rifkin, citato da Patterson, racconta la incredibile velocità della catena di montaggio per uccidere e smembrare migliaia su migliaia di animali. Racconta la crescita veloce di questa struttura e delle industrie e lavorazioni a contorno, per non lasciare di ogni animale entrato vivo, niente altro che uno spazio nullo, riempito solo dall'aria. Come capita per qualsiasi attività umana, anche questa non fa che crescere: cresce la richista di carne, cresce l'estensione dei macelli, cresce la quantità di animali sterminati. Voracità e cupidigia insaziabili governano tutto.
Nel 1905, in seguito a una inchiesta sanitaria, esce il romanzo "La Giungla", di Upton Sinclair: "rappresentò il primo sguardo sul mondo del mattatoio": recinti, binari, vagoni, gallerie, zone di abbattimento, zone di scarico. Gli operai macellatori sono ingranaggi di una macchina, ciascuno di loro svolge una e una sola azione, a velocità fulminea, intrappolato nei ritmi insostenibili della macchina. "Neppure la più piccola particella di materiale organico viene persa". La sofferenza del maiale non viene considerata:"sembrava che ci fosse qualcosa nel lavoro dei macelli che portava alla crudeltà e alla ferocia".

E oggi? Ti chiedi. Oggi è tutto uguale: l'unica differenza ha a che fare con le dimensioni (moltiplicate) e con la velocità (aumentata). Dolore, sofferenza, paura, crudeltà, ferocia, morte sono sempre le padrone di un sistema che inghiotte senza sosta animali, uomini, terra, acqua, aria...

A questo punto, Patterson estrae il jolly. Ci fa conoscere Henry Ford, il celebrato mito americano della catena di montaggio, della imprenditorialità USA, dell'auto per tutti. Lo stesso Ford scrisse nella sua autobiografia dal modesto, umile titolo "La mia vita, La mia opera", che l'idea della catena di montaggio gli venne per la prima volta visitando proprio il gigantesco macello di Chicago: "L'idea della catena di montaggio mi venne naturalmente guardando il carrello sopraelevato che veniva utilizzato nelle industrie della carne di Chicago per la lavorazione (sic) del manzo".

L'atto di uccidere viene neutralizzato, la macchina lascia all'uomo il mero ruolo di complice, obbligato a conformarsi al ritmo e alle esigenze richieste dalla stessa catena di montaggio.
L'intera storia industriale statunitense, basata sulla catena di montaggio - questo dispositivo di innovazione tecnologica e concettuale, che diventa dispositivo di controllo e metafora per narrare il progresso della civiltà stessa - viene utilizzata per la prima volta nei mattatoi.


A quanto pare, Henry Ford era filonazista e - oltre ad aver sviluppato il sistema della catena di montaggio che i tedeschi utilizzarono per uccidere gli ebrei - lanciò una immorale campagna antisemita che contribuì a favorire l'olocausto.
Dal suo giornale aziendale, Ford lanciò da un giorno all'altro una campagna di attacco agli ebrei. "Nazionalismo e pregiudizi erano parte integrante del sentimento collettivo". Ford e la sua campagna ebbero un tale successo da diventare punti di riferimento per gli antisemiti di tutto il mondo. La sua popolarità in Germania era enorme. "Hitler considerava Ford un camerata", addirittura "la mia fonte di ispirazione", come scrisse nel Mein Kampf.
In breve - ché nel libro la storia si snoda per più pagine: Ford aprì una filiale in Germania, la Ford Werke, che utilizzò schiavi al lavoro forzato e divenne fornitrice dei veicoli per l'esercito tedesco.
Dopo la guerra, la Ford Company aiutò la Ford Werke a riprendere la sua attività.

Seconda parte - capitolo 4

Nel capitolo 4 - il secondo della seconda parte - è il nazismo che viene dispiegato, in tutti i suoi dettagli che ne snudano l'essenza.
Il biopotere è la cifra distintiva del nazismo - un nazismo atemporale e per nulla scomparso. Perché  - sembra scrivere Patterson - è già presente e integrato nella società capitalista, rappresentata nella sua essenza dal fordismo statunitense. 
Ford, a sua volta, rientrava in un contesto culturale votato alla performance perennemente migliorabile, all'infinito: dalle tecniche zootecniche per modellare gli animali sulle macchine impiegate per allevarli, dominarli e ucciderli, ai tentativi di migliorare la popolazione, alla sterilizzazione forzata - e, in Germania, a forme di eutanasia e genocidio,

In Usa, la storia della eugentica è lunga e ha molte fasi, a partire da Francis Galton, cugino di Charles Darwin: Galton nel 1860 coniò la parola 'eugenetica'. Per proseguire coi lavori di selezione delle piante di Luther Burbank, fino alla creazione della American Breeders' Association, che unì allevatori e genetisti. La ABA organizzò il lavoro in quindici comitati per l'allevamento di vari animali da reddito. Infine, la creazione di un comitato sulla ereditarietà umana, o eugenetica, dette il via al movimento eugenetico americano. Il movimento voleva migliorare la razza umana attraverso incroci mirati, classificazioni delle razze e sterilizzazione forzata per le persone geneticamente anormali. Inoltre,ottennero leggi restrittive sull'immigrazione.
I membri dell'ABA lavoravano moltissimo, alternando esperimenti sui polli e manipolazione della riproduzione degli animali, a ricerche eugenetiche sul "ritardo mentale" e sulle caratteristiche genetiche degli immigrati dall'Europa meridionale e orientale.
Gli studi dell'Eugenics Record Office sulle cosiddette 'famiglie cacogeniche', rafforzarono la convinzione che i problemi sociali avessero una origine genetica. Questa riedizione del darwinismo sociale più implacabile - di per sé, una strumentale e grottesca  deformazione della teoria darwiniana -  influenzò sia le scienze sociali che le politiche sociali (controllo del crimine, istruzione, matrimonio, controllo delle nascite, alcolismo, ritardo mentale, poveri, sterilizzazione). L'eugentica aveva l'obbligo di controllare l'ereditarietà e di impedire la riproduzione di soggetti inferiori.
La sterilizzazione ebbe inizio alla fine del XIX secolo, con la castrazione prima e la vasectomia successivamente.

Alfred Ploetz fu il fondatore dell'eugenetica in Germania: si diffuse negli ambienti medici col nome di 'igiene razziale', cioè la "eliminazione pietosa" dei pazienti "non meritevoli di vita", dementi mentali senza scopo, che soffrono e gravano sia sui loro famigliari che sulla società. Una "zavorra umana", una "umanità difettosa". I medici arrivarono a respingere il giuramento di Ippocrate e ad apprezzare l'uso dei cadaveri degli "handicappati" per scopi didattici e di ricerca.
Il modello, erano comunque gli USA: nelle riviste tedesche di eugenetica, gli sviluppi americani erano continuamente riportati, a titolo di esempio da seguire. 

Quando i nazisti salirono al potere, l'igiene razziale si era già affernata come ortodossia scientifica presso la comunità medica tedesca. Fu in questo contesto di potere e di pensiero che venne varata la Legge per la prevenzione delle malattie ereditarie, che imponeva la sterilizzazione di pazienti con disturbi mentali e fisici. Chi sceglieva i soggetti da sterilizzare? I 181 tribunali per la salute ereditari, istituiti dal governo nazista. Con il collegamento ai tribunali civili e l'obbligo di segnalazione imposto ai medici, era impossibile che sfuggissero casi al vaglio della sterilizzazione. L'obiettivo era di sterilizzare il 15% della popolazione tedesca.  
Il messaggio eugenetico era propagandato usando ogni mezzo, con grande efficacia. L'Ufficio per la politica razziale nazionalsocialista arrivò a produrre dei film muti sulla sterilizzazione, che venivano proiettati nei cinematografi tedeschi. I malati erano definiti come 'creature', 'esseri',  'esistenze' , 'vite indegne di esser vissute', 'idioti', 'parodie umane'; o veniva o equiparati agli animali, o addirittura inferiori. Il popolo andava 'rieducato'.
La sinergia tra eugenetisti americani e scienziati tedeschi proseguì negli anni, con scambi reciproci e proficui di uomini, conoscenze, sostegni, propaganda.

Come i suoi omologhi americani, anche Himmler, capo delle SS e principale organizzatore dell'Olocausto, iniziò il suo viaggio nell'eugenetica partendo dall'allevamento degli animali. Lo sfruttamento degli animali - il controllo delle nascite, la selezione, la eliminazione, la macellazione - preparava la strada alle pratiche di genocidio umano.
Himmler decise di diventare anche un allevatore di esseri umani, una élite razziale basata sulle SS di razza pura, com maschi riproduttori e e femmine fattrici selezionate.

Prima di arrivare ai lager di sterminio, nel 1939, la campagna eugenetica  segnò un'altra tappa: la eliminazione sistematica dei tedeschi con ritardi mentali, disturbi emotivi e infermità fisiche.
Vennero eliminati, in segreto e in modo sistematico, anziani, malati mentali, malati incurabili, bambini deformi e altri soggetti che richiedevano cure a lungo termine, che suscitavano repulsione, che si collocavano al più basso livello animale, per mezzo di camere a gas, iniezioni letali e altri strumenti (inedia, somministrazione di fenobarbitale, acido dietilbarbiturico, morfina, scopolamina,  all'interno di ospedali, case di cura e manicomi). Nella logica nazista, sterilizzazione forzata, sterminio ed eutanasia erano connesse. Venne sperimentato anche il monossido di carbonio per la asfissia, usato prima su topi e ratti e poi su umani. Tutto questo era Aktion T4.  

Enormemente osceno, T4, fu - in prospettiva - la prova generale e l'occasione per implementare - migliorate - le tecniche di gestione, eliminazione e smaltimento di ebrei, zingari e altri tipi umani (come gli omosessuali), all'interno dei lager di sterminio.

Nel capitolo 5, Patterson afferma: "Nel XX secolo, due moderne nazioni industrializzate - USA e Germania - hanno macellato milioni di esseri umani e miliardi di altri esseri viventi".
Secondo Patterson, il mattatoio industriale (made in USA) e la camera a gas (Hergestellt in Deutschland) sono le rispettive tecnologie fornite a questa pratica di sterminio.
Rapidità, efficienza, prassi fluida e sempre in movimento, una miscela di inganno, intimidazione, coercizione, forza fisica e rapidità. Le procedure di sterminio vengono serializzate in routine di impronta fordista, meccaniche, ripetitive, programmate, parcellizzate in microazioni (al limite, un unico gesto), il più possibile separate dalle altre e decontestualizzate, per nascondere all'operatore la dimensione morale del gesto che sta compiendo, per anestetizzare la sua capacità emotiva di empatizzare col corpo che deve uccidere, e che non è già più un indiviuduo riconoscibile come tale.

Ci sono rampe, imbuti, tunnel, percorsi obbligati, paratie, corridoi stretti, che si snodano anche per decine, centinaia di metri: sono gli strumenti escogitati per fiaccare la 'resistenza animale' delle creature allevate, internate, selezionate, condannate, creature "così perfette e così utili"
Anche Patterson cita Temple Grandin, che ha inventato la rampa e il convettore a doppio binario: la sua personale "macchina degli abbracci". In pratica meccanismi e apparati per far desistere da ogni residua volontà di resistenza gli animali in cammino sul percorso verso il macello, poiché creano l'illusione di protezione - il che è proprio ciò che animali sfiancati nel corpo e disorientati nella mente, desidererebbero di più; mentre invece subiscono l'estremo inganno. (E, perciò, non hai mai capito, né accettato, come la Grandin sia tanto apprezzata).

Naturalmente, non tutto fila liscio, perché non siamo effettivamente di fronte a oggetti, ma abbiamo davanti individui vivi, che coi loro corpi nudi gettano se stessi davanti agli occhi dei macellatori, agli occhi delle guardie, agli occhi dei becchini. Ci sono vecchi e deboli; ci sono bambini. Ci sono neonati. Ci sono persone/femmine  incinta (umane e bovine o equine). Questi 'contrattempi' sono una delle preoccupazioni maggiori per gli amministratori dei macelli e dei lager: perché impattano con la forza della loro vita indifesa e nuova, contro la scorza apatica degli esecutori del genocidio. Escogitare tecniche e strumenti per attutire questo impatto è molto più difficile. E lascia segni, cictrici profonde nell'anima degli assasini, quell'anima che credevano di non avere più.

(Una delle tecniche è soprattutto di addestramento, si parla di 'uccisione umanitaria', per cui coloro che uccidono 'umanamente' spesso sostengono che le loro vittime soffrono poco o non soffrono affatto  - così, Patterson. Questa confusione, dovrebbe aiutarli a sopportare i sensi di colpa e a rendere il proseguimento delle uccisioni più accettabile. Fa parte delle 'narrazioni' che gli aguzzini elaborano, per impedire la presa di coscienza degli esecutori materiali - che siano macellatori o soldati - dei consumatori e dei cittadini che vivono all'esterno della struttura di sterminio).



Parte terza

Elie Wiesel,  Autore del romanzo autobiografico  'La notte', Giornalista, saggista, scrittore, filosofo, ha scritto:

Prendi posizione. 
La neutralità favorisce sempre l'oppressore, non la vittima.
Il silenzio incoraggia sempre il torturatore, non il torturato 

Questa frase, Charles Patterson la riporta un esergo all'inizio della terza parte del suo libro.
Frase ormai famosissima, che vive di vita propria, è diventata un meme, popolarissima tra tutti gli attivisti, specialmente quelli antispecisti. Perché è la frase del coraggio e della presenza consapevole: saper cogliere i segni della crudeltà e della oppressione mentre stanno nascendo, e fronteggiarli senza aspettare che divengano forti e diffusi. Anche, è la frase che suggella l'impegno del ricordo e della narrazione delle crudeltà, passate e presenti.
A queste infatti pensa Patterson, che nella terza parte del libro dà infine voce ai superstiti, ai molti di loro che - sopravvissuti - riuscirono anche a cambiare prospettiva verso chi ancor più infimo tra gli oppressi - e soprattutto ha poche speranze di salvarsi da questa condizione di oppressione: cioè, gli animali non umani.

Gli esempi, i racconti che Patterson riporta, son tutti di donne e uomini - ebrei (cap.6) e tedeschi (cap.8), scrive Patterson - "che hanno ricordi opposti dell'Olocausto, ma la cui azione in difesa degli animali è stata influenzata e, in qualche caso, si è formata proprio attraverso quell'esperienza".

Esce un affresco molto suggestivo, emotivo, sicuramente potente: una narrazione volta a suscitare empatia e coinvolgimento. Oggi come oggi, alcune affermazioni ci paiono senz'altro discutibili, non tanto per la sincerità con cui sono state affermate - e l'impegno che sottintendono - quanto perché non fanno credito agli animali di capacità di autodeterminazione, ma rimangono all'osservazione della superficie dei fatti evidenti e - ammettiamolo - purtroppo reali e incontestabili. Il trasporto emotivo, al netto delle dibattibili lacune 'teoriche', rimane comunque integro.

Nel capitolo 6

Anne Muller: "Gli animali sono deboli, non hanno voce, non possono difendere se stessi e gli altri. Anche noi eravamo così". "Per la gran parte della società, la vita comtinuava come se nulla stesse accadendo".

Marc Berkovitz: "Gli esseri umani vedono chiaramente la propria oppressione solo quando essi sono le vittime. Altrimenti perseguitano ciecamente e senza pensarci".

Alex Hesrhaft: "Ho sempre sentito che c'era qualcosa di eticamente ed esteticamente osceno nel prendere un bell'animale senziente, colpirlo alla testa, tagliarlo a pezzi e rimpinzarmi". Lui ha scritto della 'scatole nere', rappresentate, nel bel mezzo delle nostre città, cucite nel tessuto della nostra società, dai laboratori di vivisezione, dagli allevamenti, dai macelli: aree, separate, anonime, ignorate a bella posta dalla maggioranza della gente comune.

David Cantor: la mentalità alla base degli "esperimenti sugli animali e delle altre atrocità approvate dalle autorità, dai mezzi di informazione, da coloro che insegnano alla gente che cosa pensare di un comportamento sancito ufficialmente", sia una reminiscenza dell'era nazista.

Barbara Stagno: "Più si è coinvolti nella lotta in difesa degli animali, più ci si sente lontani dal resto della società". "Come avere acquisito una specie di vista ai raggi X".

Zoe Weil: "MI dispiace, maiali, di non aver fatto nulla per salvarvi, di non aver potuto far niente per tirarvi fuori da quel camion. Vi prometto però che racconterò di voi a diecimila persone e le aiuterò ad aprire i loro cuori e le loro menti a un mondo nuovo, dove tutti potremo vivere in pace e dove la gente non vi mangerà più".

Gail Eisnitz: "Se non capisci che quei mezzi sono i veicoli che vanno in giro a caricare i maiali che non sono sopravvissutia quelle condizioni, se non vedi che i cassoni straripano di cadaveri, non penserai mai che ci possa essere qualcosa di malvagio e di sbagliato". Pensò che doveva essere così che appariva "un campo di concentramento visto da lontano. Dal di fuori, l'aspetto agreste della scena celava completamente le atrocità che si  commettevano all'interno".

Stewart e Terti David: "Dolore, violenza e sofferenza non sono più accettabili solo perché inflitti ad animali innocenti invece che a persone innocenti". Alla gente, non dovrebbe essere permesso di restare separata dalle sofferenze inflitte agli animali, dicono i David. "Dobbiamo far sì che questa gente senta il dolore delle creaure che urlano dietro le porte chiuse, lontano dallo sguardo e dal cuore".

Jennifer Melton: "Credo che l'Olocausto sia un ottimo e terribile esempio della capacità dell'uomo di sostituirsi a Dio e stabilire chi dovrà vivere o morire. Per quanto riguarda gli animali, questa è una decisione che si ripete milioni di volte ogni giorno".

Sonia Waisman: "Da ebrea e da persona compassionevole, è inspiegabile per me che l'ebraismo e i sopravvissuti all'Olocausto abbiano vissuto tutto questo e non abbiano compreso [...]. Come possiamo 'noi' fare a 'loro' ciò che è stato fatto a 'noi' e neppure riconoscerlo?".

Molte di queste affermazioni, ancorché  cariche di buona volontà e di sincera empatia, ti sembra che siano un poco invecchiate: gli anni sono passati e si sente che - per fortuna - sono stati (anche)dedicati a ripensare il coaercvo del rapporto tra umani e animali, anche in direzioni del tutto estranee a queste qui raccontate, e spesso più lucide, spesso più libere da un inconsapevole paternalismo e da una certa qual gracilità teorica, che vede solo in parte il meccanismo che contesta, mentre ne accetta - non accorgendosene - altre parti, altrettanto cruciali e rimaste nell'ombra.

Vuoi segnalare, però la riflessione di Rhoda Ruttenberg, che - a pag.169 - critica la poesia yiddish di Moyshe Shulshtayn (Moses Schulstein), scritta sul muro dell'edificio accanto a una enorme catasta di scarpe, nel Museo dell'Olocausto a Washington: 'Noi siamo le scarpe...'. "Il significato della poesia è che le scarpe sono soltanto oggetti inanimati che non hanno sofferto come i loro proprietari, una cosa che ho sempre trovato strana, dal momento che le scarpe di solito sono fatte di cuoio". Un caso esemplare di referente assente!

Aviva Cantor, giornalista sionista femminista: "Da nessun'altra parte, il guanto di ferro del patriarcato è così evidente come nell'oppressione degli animali, oppressione che serve da modello e da terreno di coltura per tutte le altre forme di oppressione". (pag.177) "Gli uomini ricercano il potere dell'uno sull'altro,  sulle donne, sui bambini, sugli animali e sul mondo naturale, e giustificano tutto questo sulla base dell'utilità".
Intersezionalità. 

Nel capitolo 7, Patterson si dedica interamente agli scritti di Isaac Bashevis Singer, che ebbe grande attenzione  nei confronti degli animali - attenzione quasi sempre taciuta, ignorata o minimizzata dalla critica letteraria - e scrisse racconti diventati famosi per la loro potenza espressiva e insieme analitica.
Cedi, però, che sia il caso di parlarne in un post dedicato a Isaac Singer.

Nel capitolo 8, Patterson ci racconta 'L'altra faccia dell'Olocausto', le voci tedesche in favore dei senza voce. Sono spesso racconti molto lunghi e dettagliati, che danno conto di un viaggio emotivo e soprattutto etico, che evolve fino a posizioni, per così dire 'in direzione contraria'.

Dietrich von Haugwitz: "La gente sapeva benissimo che gli ebrei erano ovunque sistematicamente catturati e spediti come bestiame e ovunque c'era gente a dare una mano per facilitare l'espulsione Quanto ai dettagli dello sterminio, nessuno li voleva sapere!".

Peter Muller: "Giunsi a pensare che il genere umano, sotto quella sottile patina di civiltà cela milioni di anni di evoluzione che, evidentemente, ci hanno predisposti geneticamente a brutalità e crudeltà insensate verso la nostra stessa specie e verso le altre".

Liesel Appel: "Non ho mai dimenticato le facce crudeli dei camionisti e dei macellai che prendevano a calci gli animali per gettarli giù dai camion, spezzando zampe e schiene ... uomini crudeli che si facevano gioco di me  e mi dicevano che la gioia più grande per loro era 'affondare i coltelli nelle carni degli animali'.

Un ex medico di Auschwitz, intervistato per il suo libro dallo psicologo israeliano Dan Bar-On, affermò di 'non avere più sogni': "è il problema della selezione quello a cui penso ... è un'esperienza inquietante e angosciosca. Sapere che la selezione va avanti".


Franz Stangl, il comandanre di Treblinka, intervistato da Gitta Sereny, confessò - specialmente dopo aver visto delle mucche condotte al macello, che gli riportarono ricordi del lager - di aver smesso di mangiar carne. 

In generale, le interviste di ricercatori come Robert Jay Lifton, portano alla luce comportamenti di assuefazione, di rimozione, di negazione, di anestetizzazione emotiva.  
Il figlio dell ex medico di Auschwitz intervistato da Bar-On, raccontò allo stesso psicologo, che il padre non gli aveva mai raccontato del lager e che pensava che "le potenzialità perché siano compiuti altri omicidi di massa sono ovunque". "Sono convinto che ci sia un sacco di gente capace di farlo: lo capisco dal modo in cui parlano". Questo uomo, profondamente impressionato e suggestionato dal passato della sua famiglia, "accetta la vita per quello che è, attento a quei 'mangiatori di carne'  che potrebbero farlo succedere di nuovo".

Edgar Kupfer-Kobertvitz è una icona pacifista, un tedesco che patì la crudeltà nazista. "Non mangio animali perché non voglio vivere sulla morte e sulla sofferenza di altre creature". La sintesi estrema e netta del suo pensiero, a pag.239. Anche nel suo caso, credi che ci possa stare un post dedicato futuro venturo.

Helmut Kaplan lo noti di più oggi di quando leggesti Patterson la prima volta: in qualche modo, avevi sottovalutato il fatto che sia un filosofo. Tuttora vivente. Riporti solo una sua citazione riportata da Patterson e ti riservi un piccolo post personalizzato. "La forma più rozza e anestetizzante del modo di autoingannarsi dell'uomo è la negazione di quelle crudeltà che accadono ora e vicino a noi... Perché quello che accade qui è esattamente analogo all'Olocausto perpretrato dai nazisti". pag.242

Christa Blanke: "... ho imparato molto presto che cosa significhi la compassione, un sentimento che comprende persino il feroce nemico di un tempo". "Questi due principi - estendere la compassione a chiunque ne avesse bisogno e combattere l'olocausto ovunque lo avessi visto -  mi condussero direttamente al movimento per i diritti degli animali". Blanke, pastore protestante, è usa celebrare riti religiosi per gli animali. E scrive di "schizofrenia sul piano etico", diffusa. Chiama in causa la istituzione della sua chiesa. Visita i macelli.  Nota "la somiglianza tra il linguaggio usato nel macello e quello dei nazisti" (zone pure, zone impure, fare il proprio dovere) e afferma che "il linguaggio tecnico spersonalizza vittima e carnefice". Scrive di aver visto "la degradazione della vittima che precede sempre un assassinio". p.249

Siamo alla conclusione.

Patterson tira le fila a proposito della "crudeltà istituzionalizzata contro i deboli e gli indifesi" (e ti sembra che stia accadendo ancora, qui, ora, da noi). La visione nazista del mondo non è scomparsa dalla mente degli uomini. Si nutre di paura e non aspetta altro che le occasioni propizie per tornare a crescere, prendendo ogni spunto, fino a diventare ancora mostro enorme.
Di fatto, la 'specie padrona' , Homo Sapiens, a oggi uccide ancora centinaia di milioni di animali ogni giorno. "Perché gli animali non possono né ribellarsi né difendersi... perché vi sono così poche persone disposte e capaci di combattere per loro". Abuso, sopruso, conditi con indifferenza e rimozione, sembrano "inesorabilmente eterni".


Tutti i post su Charles Patterson e Un'eterna Treblinka, sono linkati insieme sul blog vecchio. Qui.

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